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Il valore della “Comunità” nella transizione energetica

Intervista a Stefano Zamagni, economista italiano, Professore ordinario di Economia Politica all'Università di Bologna e alla Johns Hopkins…

23/02/2023

Intervista a Stefano Zamagni, economista italiano, Professore ordinario di Economia Politica all’Università di Bologna e alla Johns Hopkins University, Presidente della Pontificia accademia delle scienze sociali e della commissione scientifica di AICCON

23/02/2023Il paradigma dell’economia civile riafferma il fondamento secondo cui una buona società è il frutto di un mercato che funziona attraverso processi che attivano la solidarietà e la cooperazione da parte di tutti i soggetti. Vede guidare le decisioni economiche da valori come la solidarietà, la responsabilità sociale e la sostenibilità – e non solo dalla massimizzazione del profitto – e mira a rigenerare un’economia collaborativa, in cui le persone possano prediligere la condivisione di beni e servizi a discapito di scelte meramente individualistiche. In questo scenario si inseriscono le Comunità energetiche, modelli di partecipazione attiva, che se create e gestite con le giuste motivazioni possono davvero contribuire al benessere globale, creando e diffondendo valore per tutta la comunità e generando benefici di carattere ambientale, economico, e sociale.

Il valore della “Comunità” nella transizione energetica

Per farci ispirare su come dare concreto valore al senso di “Comunità” all’interno di un processo di transizione energetica, abbiamo intervistato Stefano Zamagni, economista italiano, Professore ordinario di Economia Politica all’Università di Bologna e alla Johns Hopkins University, Presidente della commissione scientifica di AICCON (Associazione italiana per la promozione della cultura della cooperazione e del non profit) e Presidente della Pontificia accademia delle scienze sociali.

Quali sono le odierne sfide che il paradigma dell’economia civile si trova ad affrontare?

Sono tre le sfide più urgenti e rilevanti da affrontare che il paradigma dell’economia civile si propone di raccogliere e di vincere.

La prima è di natura culturale e consiste nel fare capire a tutti che nelle nostre Società non esistono solo beni privati e beni pubblici, ma anche beni relazionali e beni comuni. È quindi importante far capire che, mentre fino a qualche decennio fa si riteneva che l’economia avesse svolto il proprio compito producendo quantità adeguate sia di beni privati che pubblici (affidando i primi al mercato ed i secondi allo Stato), oggi ci si rende conto che il nostro benessere dipenderà sempre di più dai beni relazionali e dai beni comuni. L’ambiente, non a caso, è un bene comune e non un bene pubblico.

La prima sfida è quindi un’opera di chiarimento e convincimento per far superare l’idea che solo i primi due beni (privati e pubblici) siano importanti.

La seconda sfida è quella di far capire che natura e Società devono stringere un patto di alleanza e non proseguire nella logica dell’ottimizzazione delle risorse disponibili. Non si può infatti continuare ad agire secondo l’idea per cui, siccome le risorse ambientali sono in sofferenza, allora è necessario farne un uso ottimale. Parlando di energia, non si può pensare che trovando metodi produttivi che non inquinano l’ambiente si possa decidere di non modificare i propri stili di vita e consumo, continuando a vivere “as usual”.

La terza sfida, infine, è quella di fare in modo che democrazia e mercato tornino a cooperare. Oggi il mercato ha soggiogato la democrazia e lo si capisce anche da come la politica sia al servizio (forse inconsapevole) delle grandi lobby che intervengono per condizionare il processo decisionale. Dobbiamo quindi tornare a far marciare in armonia la democrazia, all’interno della sfera politica, ed il mercato, all’interno di quella economica.

Come si inserisce la figura del prosumer all’interno di questa visione?

Il concetto di prosumer è stato introdotto per la prima volta nel 1852, dal grande economista e filosofo inglese John Stuart Mill, che affermò che in un futuro non lontano si sarebbe arrivati alla situazione in cui è il consumatore a dettare le regole da seguire nei processi produttivi attraverso le scelte di spesa del proprio potere d’acquisto. Ci è voluto poi più di un secolo per concretizzare questo pensiero, ma oggi finalmente il consumatore è nelle condizioni di inviare messaggi al mondo della produzione per indurlo a tener conto delle proprie preferenze e concezioni di vita.

La figura del prosumer, ovvero di un soggetto che è consumatore e produttore al tempo stesso, non è quindi uno slogan inventato negli ultimi anni, ma è frutto di un’importante tradizione di pensiero e vale la pena ricordarlo per riuscire ad interpretarne correttamente il valore.

Ovviamente, il paradigma ancor oggi dominante in economia, che è quello dell’economia politica, suggerisce che è la produzione a dettare la linea, “obbligando” il consumatore a comprare attraverso la pubblicità e i social.

Per questo motivo, il cambio di paradigma che guarda all’economia civile è necessario per tornare a parlare di una cooperazione tra il momento della produzione e quello del consumo. In questo processo, al consumatore è data la possibilità di esprimere i propri indirizzi rispetto alla qualità della filiera di produzione, superando il disagio legato al consumo di prodotti di cui non si riesce a verificare la qualità, la trasparenza e la veridicità, scelti solo perché si viene manipolati a livello informativo e cognitivo.

Che significato si deve attribuire alla parola “Comunità” all’interno di un processo di transizione energetica?

È necessario considerare il passaggio di ordine sociale che stiamo vivendo: dal modello bipolare, costituito da Stato e mercato, a quello tripolare, composto invece da Stato, mercato e Comunità.

Una metafora che uso spesso per spiegare questa impostazione è quella del tavolo.

Un tavolo con due gambe (Stato e mercato) non può rimanere in piedi, ma basta aggiungerne una terza (Comunità) e il problema si risolve. Le prime due gambe sono importantissime, ma da sole non riescono ad ottenere l’armonia degli interessi ed il progresso sociale e civile.

È quindi evidente come l’espressione “Comunità energetica” sia stata scelta proprio per questo motivo. Lo Stato ed il mercato da soli non riuscirebbero a raggiungere l’obiettivo di alleanza fra cittadini che vivono in un medesimo territorio e che si mettono insieme per produrre, consumare e mettere in rete energia pulita.

Come è possibile creare un vero mutualismo all’interno delle Comunità energetiche, evitando il rischio di ridurle ad un mero investimento in pannelli fotovoltaici?

La risposta sta nella differenza tra la parola “collaborare” e la parola “cooperare”.

Collaborare significa “lavorare insieme”, cooperare significa “operare insieme”.

La differenza sta nel fatto che nella collaborazione più soggetti si mettono insieme, condividendo i mezzi per raggiungere fini che però possono differire da un soggetto all’altro. Riportando questo concetto ad un esempio energetico possiamo dire che ci si mette assieme per ottenere un’energia pulita ad un costo più basso. Nella cooperazione, invece, più persone si mettono insieme condividendo i mezzi ma anche i fini.

Per questo motivo “cooperare” è superiore a “collaborare” perché per cooperare bisogna essere d’accordo anche sui fini da raggiungere, che non sono solo quelli strumentali, come ad esempio pagare di meno l’energia (per questo basterebbe creare un gruppo d’acquisto).

L’idea della Comunità energetica va oltre lo strumentalismo proprio perché richiede alle persone di mettersi insieme per ottenere l’energia pulita di cui si ha bisogno, ma con un fine ultimo più importante, ovvero quello di tornare ad un’alleanza tra la natura e la Società, vincendo quindi la seconda sfida dell’economia civile.

Se vogliamo che le Comunità energetiche siano stabili e durature bisogna essere sicuri che le persone che vi aderiscono vogliano condividere questo fine. Personalmente, se ne creassi una, come primo passo cercherei di capire qual è il fine ultimo perseguito dalle persone coinvolte, perché questo significa fare “Comunità”.

In una Comunità autentica si coopera, non si collabora semplicemente.

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